In un Mondo governato dall’innovazione tecnologica, la medicina tradizionale e la fitoterapia potrebbero sembrare senza un futuro e marginali.
In realtà il consumo di prodotti fitoterapici cresce annualmente in tutto il globo e resta fondamentale per quelle popolazioni che non hanno un facile accesso ai medicinali.
La consapevolezza dell’importanza della medicina tradizionale è riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che aggiorna periodicamente le monografie delle piante a uso terapeutico e che ne incoraggia l’uso dove la penetrazione dei farmaci è più difficile.
Per alcune popolazioni, poi, la medicina naturale fa parte della cultura e della tradizione e riveste un posto di primo piano nel trattamento integrato con i prodotti dell’industria farmaceutica. Ne sono un esempio Cina, India Giappone e Brasile: Paesi in cui la richiesta di preparati erboristici porta anche alla ricerca di specie autoctone sempre più efficaci.
I prodotti erboristici e le conoscenze tradizioni sulla loro applicazione fanno poi da guida per la ricerca di nuove molecole sintetiche da impiegare nell’industria farmaceutica, in uno scambio che permette di partire dalla pianta per arrivare al farmaco.
Al centro della differenza tra pianta e farmaco vi è il fitocomplesso. I rimedi vegetali, infatti, non possono essere ridotti al fitochimico più rappresentativo in essi contenuto, ma devono la loro attività alla presenza di molecole con azione complementare o sinergica. Tuttavia, la richiesta dei prodotti erboristici mette a rischio le specie vegetali già provate dall’antropizzazione.
Secondo i dati dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), 50.000 e 80.000 specie di piante da fiore vengono utilizzate per scopi medicinali ma le specie vegetali sono anche quelle che più rapidamente stanno scomparendo. In più, lo sfruttamento di alcune specie può andare a discapito della coltivazione di altre, con perdita di conoscenze e potenzialità.
Dall’altra parte, una richiesta crescente di alcune piante porta alla diffusione in commercio di prodotti adulterati o che contengono specie simili ma con azione farmacologica minore o diversa.
Gli studi della genomica, della biochimica e delle tecniche di coltivazione e selezione aiutano quindi la botanica farmaceutica e la farmacognosia a risolvere le criticità e a diventata scienze multidisciplinari ad alta tecnologia nell’analisi della purezza, potenza e coerenza delle medicine naturali.
Poter ricorrere al sequenziamento del DNA delle specie permette infatti di riconoscere più agevolmente le frodi, identificando non solo la purezza delle preparazioni erboristiche e combattendo la sofisticazione, ma anche selezionando le cultivar che si dimostrano più ricche di principi attivi.
La metabolomica e lo studio dei processi di sintesi della pianta permettono di indirizzare verso coltivazioni razionalizzate per dare i prodotti dalle migliori qualità, avvalendosi delle pratiche agricole migliorate e indirizzate a un arricchimento in fitochimici, a produzioni più abbondanti e meno bisognose di trattamenti con fitofarmaci.
A questo si affiancano le tecniche di identificazione delle molecole attive e la ricerca del loro meccanismo d’azione che ne spieghi il razionale d’uso.
Le ricchissime banche dati raccolgono le molecole individuate, ed è possibile capirne subito le caratteristiche di solubilità e prevederne la biodisponibilità.
Grazie poi alla chimica computazionale e alle tecniche di docking molecolare si può studiarne l’affinità di legame con le proteine prevedendone l’azione ma anche la possibilità che siano agevolate o eliminate dai trasportatori di membrana. Le tecniche di modellazione 3D si avvalgono dei software e dell’Intelligenza Artificiale per rendere rapidi processi che solo pochi anni fa richiedevano calcolatori molto potenti e lungo tempo.
La possibilità di avere a disposizione tecniche avanzate di analisi è utile anche per prevedere le interazioni pianta-pianta o pianta-farmaco.
Infatti, anche se la scelta della fitoterapia si basa per molti sulla possibilità di avere effetti collaterali minori rispetto all’uso dei farmaci, le piante devono essere sempre usate in modo razionale e, in concomitanza con una terapia farmacologica, il loro uso deve essere guidato dal medico che saprà rilevare le criticità ma anche le possibilità di sinergie favorevoli alla guarigione.
La fitoterapia si avvale quindi delle tecniche di laboratorio perché ancora molto poco si sa di molte specie. Fra le piante in studio di cui ancora non si conoscono i benefici terapeutici possono esserci specie che serviranno da base per lo sviluppo di nuovi farmaci, ma lo studio dei fitocomplessi consentirà anche di capire quali criticità sono tecnicamente superabili, con preparazioni micronizzate o rese altamente solubili di fitocomplessi molto promettenti ma che vengono scarsamente assorbiti.
I nuovi approcci permettono di ridurre i costi, i tempi e la complessità nel processo di scoperta dei fitochimici e dei loro meccanismi d’azione. Migliorano le strategie di produzione e di conservazione, limitando i danni da inquinamento o deterioramento delle materie prime vegetali.
Non c’è dubbio quindi che la fitoterapia continui a mantenere ancora oggi la sua importanza e che anzi si avvalga delle nuove tecniche per mantenere la sua valenza nello sviluppo di terapie sempre più mirate e, nel contempo, olistiche.
FONTE:
Singh, D.B., Pathak, R.K. & Rai, D. From Traditional Herbal Medicine to Rational Drug Discovery: Strategies, Challenges, and Future Perspectives. Rev. Bras. Farmacogn. (2022)