Sin dall’inizio della diffusione del virus SARS-CoV-2 è stato evidente il coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Perdita dell’olfatto e del gusto sono infatti stati individuati come primi sintomi della malattia, con esordio che anticipa i sintomi respiratori. Con il diffondersi dell’infezione sono risultati sempre più evidenti i molti sintomi a livello cerebrale come l’ottundimento, la perdita di concentrazione e di memoria.
Ancora a diversi mesi dall’infezione, alcuni pazienti avevano difficoltà di focalizzazione o nel riposo, e riscontrando gli effetti di quello che è noto come long-covid.
Le evidenze si accumulano riguardo il coinvolgimento delle risposte infiammatorie causate dal virus che possono causare danni e microtraumi che si sommano in sintomi evidenti, e non si scarta neanche l’ipotesi che particelle virale possano sfuggire al sistema immunitario e rimanere attive a lungo nell’organismo, senza essere rilevabili con i test oggi in uso.
Un ampio studio riportato su Nature chiarisce quali sono i danni cerebrali più frequenti fra coloro che hanno contratto la COVID-19.
I ricercatori britannici del Wellcome Center for Integrative Neuroimaging presso l’Università di Oxford, dell’University College London, del National Institutes of Mental Health (della rete Nih) di Bethesda e dell’Imperial College di Londra hanno analizzato i dati di Biobank, organismo che raccoglie i dati sulla salute di mezzo milione di individui, e hanno condotto un confronto fra le immagini ottenute con la tomografia a risonanza magnetica del cervello (MRI) prima e dopo l’infezione. Inoltre, hanno provveduto a dare solidità ai loro dati conducendo la stessa ricerca in un gruppo di controllo, finemente selezionato, per ridurre i fattori confondenti e gli errori statistici.
Sebbene non sia chiaro quali saranno gli effetti a lungo termine del COVID-19 sul cervello, lo studio ha messo in luce il danno in alcune aree specifiche che coinvolgono la corteccia olfattiva, ma anche loci cerebrali implicati nell’apprendimento e la memoria, e l’assottigliamento della corteccia in aree cerebrali implicate nell’elaborazione delle decisioni.
Lo studio ha coinvolto soggetti fra i 51 e 81 anni: 401 pazienti che erano già stati reclutati dal centro per lo studio di neuroimaging cerebrale e che poi avevano contratto la malattia. Il controllo era composto da 384 soggetti che invece non sono stati infettati. Fra i soggetti infettati sono stati trattati casi sia lievi, che non hanno richiesto l’ospedalizzazione, sia casi più gravi.
I risultati medi indicano che non in tutti gli infettati si sono avuti danni cerebrali ma anche che, persino tra coloro i quali avevano avuto forme di COVID-19 asintomatiche, si potevano riscontrare le lesioni del sistema nervoso centrale.
Attraverso una serie di scansioni per immagazzinare informazioni diverse (volume, caratteristiche delle microstrutture, connessione neurale tra aree cerebrali) che hanno richiesto l’accumulo di moli di dati per ogni paziente è stato possibile rilevare quali sono le aree cerebrali che soffrono di più dell’infezione da SARS- CoV-2.
Come era prevedibile, si è avuta atrofizzazione di zone associate alle vie olfattive e della corteccia olfattiva primaria, che del sistema limbico, compresi paraippocampo – determinante nell’orientamento temporale degli eventi nella memoria episodica – e corteccia entorinale.
La perdita del gusto è associata a lesioni dell’insula e si riscontra anche una diminuzione dello spessore della corteccia orbitofrontale sinistra e nel giro ippocampale; s’è trovata riduzione dello spessore della materia grigia in regioni fronto-parietali e temporali e una riduzione generalizzata delle dimensioni del cervello. Sofferenze sono state riscontrate anche nel giro cingolato – altra area la cui lesione compromette la memoria – e nell’amigdala, fondamentale nei circuiti decisionali.
È stato anche valutato con dei test il declino cognitivo dei pazienti, rilevando che tra coloro che erano stati infettati il problema risulta essere maggiore rispetto al controllo. Il deterioramento è stato associato all’atrofizzazione della corteccia ma anche di aree cerebellari.
È comunque preoccupante che siano colpite aree che sono anche le prime a deteriorarsi alla comparsa della malattia di Alzheimer e ad altre forme di demenza, sollevando la possibilità che ci possano essere conseguenze a lungo termine dell’infezione.
Lo studio, il primo di tale portata, supera quindi quelle che sono state le prime rilevazioni sulla sofferenza cerebrale e che mettevano in luce i macro-eventi cerebrali conseguenza della infezione come l’ischemia diffusa e l’iperintensità della sostanza bianca, sintomo diffuso di demielinizzazione, neuroinfiammazione e diminuzione del flusso sanguigno.
In primo piano quindi la necessità di contenere la neuroinfiammazione e di approfondire le conoscenze su come COVID-19 possa interferire anche con il neurotrofismo.