Ormai conosciuta come long-Covid, la PASC (post-acute sequelae of SARS-CoV-2) è entrata anche nei programmi sanitari. Anche in Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha annunciato che si inizierà a mappare i centri che si occupano dei pazienti e a dare sostegno a chi ne soffre.
Dopo le prime evidenze nell’estate del 2020 di una perdurante condizione morbosa nei guariti dalla COVID19, gruppi di studio e di ricerca stanno cercando di delineare i contorni di quella che è l’emergenza sanitaria post Covid, e non è un compito facile.
In modo puramente pratico, si tende a identificare come long-Covid il perdurare di sintomi a 12 settimane dalla guarigione. I sintomi però fino ad ora riscontrati sono circa 300 e coinvolgono tutti i distretti corporei dando una misura di come il virus sia capace di diffondersi e creare danni in tutto l’organismo. In più, anche chi ha avuto una forma asintomatica di COVID può ritrovarsi a soffrire di long-Covid. I sintomi possono essere continui, recidivanti o remittenti e la presenza di comorbilità, così come l’anzianità, aumenta il rischio.
La long-Covid si manifesta principalmente con stanchezza e affaticamento estremo che non permette di ritornare alla vita precedente. Chi ne soffre lamenta spesso anche la sensazione di ottundimento, incapacità di concentrarsi, perdita di memoria.
Frequenti anche la distorsione olfattiva e gustativa. Mentre la COVID si manifesta con perdita dell’olfatto, nella long-Covid non c’è più una giusta correlazione fra odori e sapori e le aree della corteccia olfattiva che dovrebbero stimolare. In questo modo, odori e sapori vengono percepiti in maniera distorta causando severa invalidità a chi ne soffre.
La presenza del SARS-Cov-2 anche nel liquido cerebro spinale evidenzia che il virus ha un’azione, di cui ancora sappiamo troppo poco e di cui non conosciamo la durata, sistema nervoso centrale.
Altri sintomi frequenti sono quelli dermatologici – eczemi e rush -, i sintomi respiratori come tosse e dispnea, i sintomi gastrointestinali. Particolarmente allarmante è il coinvolgimento dell’apparato cardio circolatorio con la perdita della regolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, la formazione di coaguli e le aritmie cardiache.
Non mancano poi i dolori articolari e muscolari che ricordano molto quelli di chi soffre di fibromialgia.
Spesso i sintomi scompaiono nell’arco di sei mesi; in alcuni casi invece sembrano perdurare molto più a lungo.
I sintomi della long-Covid appiano correlati in gravità con la gravità della malattia: persone che hanno avuto sintomi evidenti di COVID hanno più spesso long-Covid severo e debilitante. Il danno d’organo e il lungo recupero possono essere quindi alla base della long-Covid.
Sin da subito la tempesta di citochine, l’attivazione massiccia e impropria dei fattori del sistema immunitario, è stata riconosciuta come la causa della risposta infiammatoria diffusa che coinvolgeva cuore e polmoni. A due anni dall’inizio della pandemia sappiamo che il virus non si ferma solo alle vie aeree ma che si ritrova in tutto il corpo a causa dell’ampia diffusione nei distretti corporei del suo recettore ACE-2. Nel cercare quindi le più probabili cause della long-Covid la prima ipotesi è quella dell’iperattivazione del sistema immunitario.
La presenza di stress ossidativo e nitrosativo, la riduzione della risposta attraverso le Heat Shock Proteins (proteine dello shock termico), la sovra espressione del fattore di crescita beta (TGF-β), che causa uno stato prolungato di immunosoppressione e fibrosi, si associano alla long-Covid.
Luce si sta facendo sulle disfunzioni mitocondriali e sull’esaurimento dei linfociti T. La massiccia e continuata attivazione del sistema immunitario causa, infatti, una risposta ritardata e sotto regolata da parte dei linfociti T che diventano meno pronti a rispondere; inoltre, è stata rilevata anche una loro disfunzione mitocondriale, che causa una perdita della capacità di usare l’energia cellulare, causata dal virus, e che contribuisce alla senescenza immunitaria.
Non manca poi l’ipotesi che il sistema immunitario così compromesso possa lasciare che virus silenti nel nostro organismo, come quelli erpetici, possano attivarsi e dare manifestazioni patologiche, compresi i rush cutanei, l’ingrossamento dei linfonodi, la stanchezza.
Si fa avanti anche l’ipotesi che il virus, una volta avvenuta la guarigione, non scompaia definitivamente dall’organismo ma che una quota non rilevabile con i tamponi permanga causando micro-infiammazioni continuate. Particelle virali o loro frammenti sono state trovate infatti nelle feci, nell’intestino, nella saliva, nello sperma, nel lavaggio bronco-alveolare, nelle urine, nelle lacrime di persone guarite. Non si può escludere poi che il virus possa continuare a nascondersi nei “santuari immunologici” dove il sistema immunitario ha minore accesso: occhio, testicolo, cervello.
Un altro importante riscontro è la differenza di genere: i sintomi sono molto più frequenti nelle donne che negli uomini. Questo ha portato gli studiosi a considerare nella long-Covid il coinvolgimento del sistema immunitario e a far avanzare le ipotesi che si tratti di una forma di malattia autoimmune.
Da tempo infatti sappiamo che le malattie autoimmuni colpiscono maggiormente il sesso femminile, per ragioni non ben chiare.
Il virus potrebbe quindi causare una reazione autoimmune con sviluppo di linfociti T auto reattivi e la produzione di anticorpi contro citochine, chemochine, proteine del complemento, proteine immunomodulatorie, metallo proteinasi, proteine della superficie delle cellule endoteliali.
Poiché long Covid si può manifestare anche con l’insorgenza di diabete, per il quale da tempo si discute l’infezione virale fra le cause eziologiche, l’ipotesi autoimmune sembra plausibile.
Importante causa dei sintomi gastrointestinali sembra essere la compromissione del microbioma. La presenza di numerosi recettori ACE-2 intestinali regola l’espressione dei trasportatori per gli aminoacidi neutri, influenzando a cascata anche i substrati di cui il microbioma dispone per il proprio sviluppo e quindi la salute della flora intestinale. A sua volta, la disbiosi è spesso stata chiamata in causa anche nelle malattie autoimmuni.
È importante però anche sottolineare il ruolo della vaccinazione anti-Covid nel ridurre la possibilità d’insorgenza e nel ridurre i sintomi da long-Covid. Gli studi sui vaccinati mostrano che questi hanno un’incidenza molto minore di manifestazioni da long-Covid in caso di infezione – questo perché il virus trova un sistema immunitari già preparato ad affrontarlo – ma anche che la vaccinazione provoca remissione dei sintomi di long-Covid in chi ne soffre.
Sfortunatamente, i sintomi della long-covid si possono avere anche negli adolescenti e nei bambini che sono fasce d’età in cui la vaccinazione è stata autorizzata più tardivamente. In particolare, nei bambini i sintomi neurologici sembrano manifestarsi con una maggiore incidenza di tic e con un maggior numero di casi di sindrome di Tourette.
Da questa panoramica è evidente che i mezzi per affrontare long-Covid possono risiedere anche in strumenti che regolano la risposta immunitaria alterata, aiutano il trofismo del microbioma, intervengono a limitare le manifestazioni conseguenti allo stress ossidativo.
Riferimenti per approfondire:
- Sophie A M van Kessel, Tim C Olde Hartman, Peter L B J Lucassen, Cornelia H M van Jaarsveld, Post-acute and long-COVID-19 symptoms in patients with mild diseases: a systematic review, Family Practice, Volume 39, Issue 1, February 2022, Pages 159–167, https://doi.org/10.1093/fampra/cmab076
- Asadi-Pooya, AA, Akbari, A, Emami, A, et al. Long COVID syndrome-associated brain fog. J Med Virol. 2022; 94: 979- 984. doi:10.1002/jmv.27404
- Proal Amy D., VanElzakker Michael B.; Long COVID or Post-acute Sequelae of COVID-19 (PASC): An Overview of Biological Factors That May Contribute to Persistent Symptoms; Frontiers in Microbiology vol 12 – 2021 Doi:10.3389/fmicb.2021.698169